Pulsione, desiderio, soddisfazione


Pubblichiamo questo testo in cui Arturo Casoni, psicoanalista a Roma, propone una serie di interessanti riflessioni che prendono spunto dal libro di Franco Lolli Vivere la pulsione. Saggio sulla soddisfazione in psicoanalisi (Orthotes, 2022). Ringraziamo l’autore per aver voluto partecipare al confronto intellettuale che anima la nostra Associazione.


Franco Lolli, in questo suo ultimo lavoro, affronta un tema che a me appare come urgente e dirimente. La domanda alla quale tenta di dare risposte io la formulerei così: quanto la clinica psicoanalitica offre una ‘speranza’ al corpo – e quindi alla psiche – di trovare una collocazione soddisfacente nel suo vivere? quanto la pratica analitica è un esercizio di accettazione della rinuncia pulsionale per raggiungere un compromesso con le urgenze pulsionali che da quel corpo originano? qual è l’etica della psicoanalisi riguardo alla dignità dei corpi?

In effetti – a uno sguardo forse euristicamente malizioso – tutta la storia della psicoanalisi appare come un’iniziale illusione di un avvenire glorioso di emancipazione dalla sofferenza che la civiltà instilla nel corpo umano, per divenire quasi subito l’avvenire di un’illusione di liberazione della sessualità come espressione gioiosa dei corpi. Lo stesso Freud, che inizialmente potrebbe aver pensato che le povere isteriche che incontrava alla Salpêtrière avrebbero trovato una via per dare soddisfazione a quei corpi urlanti disperazione, dopo non molto tempo dalla formulazione del suo metodo di cura ha iniziato a ricredersi, a confrontarsi con gli ‘inciampi’ della pratica analitica. Freud ha avuto lo straordinario ed eroico coraggio di affermare – nell’800, nella cultura di quell’epoca – la centralità del corpo come organizzatore dello psichico, del mentale, del civile. Il maestro viennese, come è documentato nel carteggio, quando Binswanger lo esorta a far divenire la psicoanalisi una ‘teoria dell’uomo’, una teorizzazione filosofica, gli risponde quasi stizzito: “io lavoro sui piani bassi dell’edificio umano” [1]. E in quelle parole – piani bassi – io non colgo nessun sentimento di inadeguatezza, nessun desiderio di umiltà auto-sminuente, ma la volontà di sfidare la Cultura nella sua ottusità riguardo alla centralità del corpo. Eppure, questa centralità ha poi dovuto cedere spazio a una riflessione sull’umano che progressivamente lasciava sullo sfondo dello spazio d’indagine i corpi e le loro urgenze, fin quasi a ‘spiritualizzare’ la psicoanalisi. Freud, quindi, si è poi confrontato con ciò che impediva al ‘corporeo’ di trovare uno spazio d’esistenza, l’eros veniva risucchiato dal thanatos.

I continuatori del suo lavoro, i post-freudiani, chi più chi meno, hanno prodotto quella che nella visione del mio maestro, Sandro Gindro, era una sorta di fuga dal corporeo. Solo per dare qualche riferimento a giganti della storia della psicoanalisi, si potrebbe dire che Melanie Klein, spostando il suo focus dall’eros al thanatos, dalla sessualità alla distruttività, ha eclissato i corpi. Così forse ha fatto Jacques Lacan dando centralità al simbolico, al parlessere, al linguaggio?

Franco Lolli identifica nella centralità del corpo “Il grande rimosso della psicoanalisi”[2]. Il libro inizia così: “la questione del corpo mi è subito apparsa in tutta la sua traumatica preponderanza. L’attività psicoterapeutica che successivamente ho iniziato a praticare non ha fatto altro che confermarne l’assoluta centralità, non più circoscritta al piano del suo eventuale disfunzionamento fisiologico, ma estesa a quello pulsionale e sessuale (…) non posso non notare quanto la questione del corpo e del suo ruolo nella strutturazione della psiche abbia caratterizzato la gran parte dei miei scritti”[3]. Con sapiente e minuziosa precisione – al limite dell’ossessività – scava ed esplora al microscopio la lettera lasciata dal suo maestro Lacan, per far emergere la possibilità di poter ‘vivere la pulsione’: “collegare in maniera così esplicita la conclusione dell’analisi alla conquista di un rapporto con la pulsione che non sia dell’ordine della rinuncia, del sacrificio, né della sua trasformazione in desiderio, è una indicazione molto precisa, della quale ogni psicoanalista dovrebbe tener conto. Lacan – è bene sottolinearlo – non si chiede come il soggetto a fine analisi possa vivere il desiderio. È alla pulsione che guarda e alla sua riscoperta da parte di un soggetto che, grazie al lavoro analitico, ha guadagnato un nuovo rapporto con l’oggetto”[4].

Il concetto di ‘pulsione’ in Freud è – nella sua voluta indeterminatezza – il trait d’union che collega lo psichico al corpo, è appunto al limite tra lo psichico e il somatico. La/il fine dell’analisi è quindi aprire uno spazio entro il quale il soggetto possa trovare l’oggetto (oggetto piccolo a) con il quale dare soddisfazione alla pulsione, al corpo. Lolli reperisce negli scritti del maestro parigino le parole che aprono alla speranza di una psicoanalisi che non sia una teoria e una prassi della rinuncia, del sacrificio, della mortificazione della carne. Una psicoanalisi non mortifera.

Il Lacan di Lolli – come è ovvio, ognuno di noi ha una lettura del maestro che lo diversifica dagli altri, i maestri sono infiniti, specialmente in ambito psicoanalitico e ancor più in ambito lacaniano –, teorico del famosissimo aforisma “non esiste rapporto sessuale”, provocatoriamente ci richiama a un paradosso, a una sorta di koan zen, per introdurci a una via analitica difficile e complessa, ma di speranza.

Il libro si dispiega lungo una direttrice che collega e riformula i vari concetti della psicoanalisi che intersecano i due poli dello psichico e del somatico. Parte dall’arco riflesso dell’urgenza di vivere (Freud, Not des Lebens) dell’infans che urla il bisogno di essere biologicamente nutrito e che viene soddisfatto dalla madre, proto-esperienza in anticipo rispetto ad ogni possibilità di vera esperienza psichica di relazione e soggettivazione, come primo dato di “soddisfazione originaria” a livello somatico che permetterà l’insediamento dello psichico, traccia che sarà rimaneggiata e sovrascritta dalla logica della domanda, rivelazione della presenza dell’altro (Freud, Nebenmensch). È quindi a partire da un’esperienza corporea che inizia il processo di organizzazione dello psichico. Di seguito si analizzano le categorie teoriche lacaniane e freudiane che organizzano la vita del soggetto: il bisogno, la domanda, il desiderio, il desiderio di essere desiderati, la pulsione, l’oggetto a, il godimento, il fantasma, per giungere a una rivisitazione del concetto di sublimazione.

C’è un aspetto teorico della sua psicoanalisi che forse non condivido. Riguarda ciò che potremmo definire il primum movens della costituzione dello psichico, ovvero dell’umano. Sappiamo che in Freud, e ancor più in Lacan, ciò che umanizza l’animale umano è la prima esperienza traumatica di frustrazione, l’archeo-trauma. Lolli è in accordo con la visione – affermata da tutti, da Freud in avanti – dell’inizio della vita a partire dalla nascita come momento traumatico. Presuppone che i nove mesi di vita intrauterina siano un’esperienza di ‘non vita’ avvolta nella soddisfazione piena, senza esperienze di sorta se non la vita biologica. So che Lolli ha curato recentemente a proposito della clinica psicoanalitica del trauma un libro che ancora non ho letto, che con i suoi colleghi di LITORaLE (l’associazione della quale è presidente) sta lavorando sul tema del trauma, e quindi provo ad avanzare un’osservazione apparentemente banale ma che potrebbe produrre effetti imprevisti.

Di fatto, sosteneva il mio maestro Sandro Gindro con ironia, la psicoanalisi si comporta come l’astrologia: parte dal presupposto che il ‘fuori’, il mondo, gli inciampi della vita, siano incontrati dal piccolo d’uomo al momento della nascita. Che siano le influenze degli astri o le prime esperienze di frustrazione, tutto inizia il giorno e l’ora dell’uscita dal ventre materno. E perché gli astri non dovrebbero influenzare il ‘nascituro’ (già nato) nei primi nove mesi? L’oroscopo non dovrebbe orientarsi da prima, magari da quando l’ovulo si è incontrato con lo spermatozoo?

Gindro interpretava questa negazione da parte della psicoanalisi come una sorta di forclusione. Aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita alla “psicoanalisi della gestazione”, ottenendo tra l’altro il primo – e unico – insegnamento accademico di questa materia all’interno del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia alla Sapienza. Ci sono evidenze scientifiche – neurofisiologiche ma anche di ambito psicoanalitico – che ci dimostrano che il feto ha un’attività cerebrale altamente raffinata, ad esempio con tracciati elettroencefalografici che potrebbero farci ipotizzare che il nascituro possa sognare. Se ha un’attività simile al sogno, ha già un abbozzo di inconscio? già si è operata una sorta di rimozione? Se così fosse, dovremmo iniziare a ragionare sull’inizio della vita anticipandolo di un’epoca, quella intrauterina. Questa semplice osservazione ci obbligherebbe a ripensare i fondamenti della psicoanalisi. In quale spazio-tempo collocare l’archeo-trauma? Cosa ne sarebbe di Das Ding?

Ma questa riflessione ci porterebbe troppo lontano.


Note

  1. Lettere (1908-1938), Sigmund Freud, Ludwig Binswanger, Raffaello Cortina  []
  2. Pag. 35  []
  3. Pag. 5  []
  4. Pag. 6  []