Pubblichiamo uno degli interventi più originali, brillanti e popolari di Mladen Dolar, filosofo e critico culturale sloveno, nonché esponente di spicco della Scuola Psicoanalitica di Ljubljana. Ringraziamo l’Autore per la gentile concessione.
Traduzione dall’inglese di Luigi Francesco Clemente
Per Dominique e Oxana
Un gruppo di persone è raccolto fuori da uno di questi affascinanti grattacieli in Lower Manhattan, a debita distanza dall’entrata scrupolosamente vigilata da una guardia che misura lo spazio col suo attento occhio di falco e dall’aspetto grave di chi fa sul serio, un gruppo composto in gran parte dagli impiegati degli uffici che svettano alti lungo strada, ma anche da qualche turista e da qualche eccentrico senzatetto che va guardandosi in giro. Il motivo di questo piccolo raduno, di una dozzina di persone o giù di lì, è fumare. Il gruppo è eterogeneo: gli impiegati vestono abiti piuttosto formali, ed è facile immaginarseli a lavoro da qualche parte nei complessi meccanismi del capitale finanziario; i turisti indossano un abbigliamento informale e dai colori variopinti, e stanno facendo una rapida sosta sulla loro rotta ben pianificata lungo le attrazioni della città; i senzatetto portano larghi abiti spiegazzati; insomma: ciascun gruppo corrisponde esattamente al cliché. Fumiamo in silenzio, stando relativamente vicini gli uni agli altri, con lo spazio che sembra delimitato da fili invisibili, osservando senz’altro qualche regola istituita da dio sa quale autorità, ma guardiamo in direzioni diverse, sentendoci vagamente a disagio o almeno non proprio a nostro agio, poiché il luogo designato sta fuori dalle vie ufficiali, provando a celare l’imbarazzo ma senza riuscirci, poiché non è possibile nasconderlo completamente in quest’area tanto frequentata, e ci sentiamo esposti, i passanti e le persone sul lato dell’ingresso principale ci guardano di sottecchi, quasi fossimo dei nuovi pària, e ci lanciano le loro occhiatacce sospettose, di disapprovazione. Ecco una casuale congregazione di estranei che stanno insieme per cinque minuti, giusto il tempo di una sigaretta, adunati in un luogo ben definito, con una sola cosa in comune. Poi, di punto in bianco, qualcuno se ne esce con una battuta: “Prima i neri e gli ebrei, ora noi”. Si alza un immediato scoppio di risa e allegria, gli estranei diventano improvvisamente amici, per questi fugaci minuti, le sigarette sono di breve durata e così è la nostra amicizia, ma ecco un’ondata di solidarietà, un improvviso legame umano, e la brevità del prezioso momento va ben al di là del raduno, oltre i piani che di qui a breve ci disperderanno in tutte le direzioni. Questo momento evapora tutto in fumo, proprio come la sigaretta, ma, seppur fugace, ha un curioso potere e va oltre l’ordine del tempo, oltre l’urgenza degli affari, degli obblighi, dei programmi sociali assegnati e connessi alla mera sopravvivenza. Ed è chiaro che, ridendo tutti assieme, abbiamo riportato una piccola vittoria sulla folla biasimante, di gran lunga più numerosa di noi, e sulle regole scrupolosamente predisposte che ci hanno isolati all’interno di questo spazio. Gli esclusi e gli stigmatizzati si son presi la loro rivincita, almeno per questo istante passeggero siamo noi i vincitori.
Ovviamente la battuta va colta nello spirito della tipica faccia tosta dei fumatori, o piuttosto della loro ironia. Sarebbe un po’ troppo allineare secoli di schiavitù e pogrom con questa nuova figura di reietto e sarebbe assolutamente arrogante sostenere simili discendenze. Ma i fumatori tendono sempre a parlare con ironia. Fa parte del gruppo una coppia di neri e viene poi fuori che c’è anche una coppia di ebrei (e sì, avete indovinato, appartengono alla parte del gruppo del “capitale finanziario”, possiamo dubitare di tutto ma non di questo cliché). I neri e gli ebrei appaiono particolarmente divertiti da questa battuta, l’ebreo aggiunge sorridendo: “Non siamo ancora arrivati all’Olocausto”. Alcuni fumatori possono davvero essere neri e per giunta ebrei, e noi trasformarci temporaneamente in neri ed ebrei ad honorem. Ecco uno scambio improvviso di storie di vita, una che cupamente risale all’Olocausto, l’altra ai giorni prima di Martin Luther King. Un anziano di colore, immagino dello staff della manutenzione dell’edificio, dice, nell’approvazione generale: “In tutta la mia vita non sono stato mai tanto oppresso come nero quanto lo sono ora da fumatore”. E lui ha vissuto i tempi precedenti al movimento dei diritti civili, quando almeno a New York non era così terribile essere neri come ora lo è il fatto di essere fumatori, dove le due esclusioni si rispecchiano reciprocamente, nella loro stessa discrepanza e in una strana connivenza. I senzatetto raccontano qualche aneddoto sulla polizia che li insegue pur fumando in luoghi perfettamente legali, la nuova scusa sempre utile per le vessazioni. Gli ebrei, in apparenza benestanti, guardano improvvisamente ai senzatetto con occhi nuovi, o almeno di riconoscimento, con lo spettro contraddittorio del comune destino di esclusione nell’aria, che connette per un istante le sue vie più disparate. I turisti spagnoli raccontano di alcune tattiche di guerriglia impiegate in Spagna dopo l’introduzione delle misure contro il fumo, anche se meno pesanti di quelle americane – ma gli Usa sono, come sempre, l’avanguardia e siamo d’accordo sul fatto che a breve li seguiremo tutti, prendendo parte anche noi alla terra promessa.
Fumatori di tutto il mondo, unitevi. Ma noi siamo già uniti. Siamo riusciti in un’incredibile impresa collettiva di attraversamento delle divisioni sociali, evocando gli spettri della storia e i suoi antagonismi e facendoli riposare in pace, trovando un po’ di solidarietà oltre le frontiere, ridendo insieme e divertendoci, perfetti sconosciuti in una manciata di minuti, distanti dal principale corso di Manhattan, al centro del potere mondiale, al centro del capitale finanziario, un’improbabile collettività fondata sul fumo, e solo sul fumo. È del tutto chiaro: i fumatori vivono nel comunismo. Creano il comunismo ovunque vadano, anche a cinque minuti da Wall Street. I fumatori hanno anticipato il movimento Occupy Wall Street, solo che nessuno l’ha mai notato. Essi non attendono che appaia una futura società senza classi, la fanno apparire all’istante. Fumare è un piacere momentaneo che richiede soluzioni immediate, non può essere rinviato a un qualche lontano futuro. Bastano due fumatori per far sbocciare una cellula comunista, quando due o tre fumatori si riuniscono lo spirito (non santo) del comunismo si accende in mezzo a loro. I fumatori formano un partito con un segno di appartenenza davvero semplice, ognuno è il benvenuto, ed essi accettano volentieri i non-fumatori ad honorem nel loro spazio. Si tratta di un partito che qui ed ora inizia a dissolvere le gerarchie con un colpo di accendino. «Iskra», “scintilla”, era il celebre nome del giornale di Lenin, e i fumatori l’hanno preso alla lettera, la scintilla è tutto ciò di cui hanno bisogno. Lenin basava il suo titolo sul fatto che la scintilla serve a scatenare una grande fiamma futura, ma i fumatori prosperano sulle scintille e sulle piccole fiamme nel presente, infatti il loro futuro potrebbe essere incerto, data la loro abitudine. Questo è comunismo senza un futuro, poiché i fumatori moriranno tutti giovani, per tacere dell’impotenza e della pelle rugosa. Usano armi di distruzione di massa distruttrici dei loro stessi utilizzatori, che accettano il proprio destino con lieta compostezza.
Il partito dei fumatori non ha un programma, se non per quanto è già passato all’azione. Gli atti dei fumatori precedono le loro parole. Ma questo non significa affatto che la loro comunità si regge solo sul piacere e su una gratificazione momentanea, al riparo da domande intellettuali, anzi: è proprio il contrario. Nulla istiga alla riflessione più del fumare insieme, c’è chi condivide una pausa nel frastuono della vita quotidiana, osservandolo a distanza, sicché ogni sorta di programma spunta nel giro di qualche minuto, idee selvagge circolano liberamente, proprio come il fumo, e c’è chi si guarda indietro e in avanti, sgravato dalle costrizioni e dagli obblighi quotidiani, in una comunità non-discriminatoria di amici ed estranei allo stesso tempo. Storie pazze e scherzi bonari vengono generosamente condivisi insieme al fumo. Possiamo improvvisamente trovare la soluzione di un problema che non avremmo trovato ricorrendo a uno sforzo intellettuale prolungato, e questo proprio grazie a una pausa non-produttiva rispetto ai fabbisogni della produzione: una pausa che mette a lavoro la mente molto più di quanto faccia lo sforzo. Il fumare è il tempo della serendipità, dei doni gratuiti e inattesi. È un’attività essenzialmente sociale, fumare da soli non dà mai lo stesso piacere di quando lo si fa in compagnia (certo, proprio come il sesso). Quanto più mira al piacere corporeo, tanto più stimola e rinvigorisce lo spirito, è un’attività squisitamente non-cristiana, in quanto testimonia contro la divisione tra corpo e spirito. La brama del corpo va mano nella mano e di pari passo con la brama dello spirito, dove l’una accresce l’altra. Il partito dei fumatori non inizia con un programma istigante all’azione, ma con un atto in cerca di un programma, e, nel momento in cui anche solo pochi fumatori si riuniscono, i programmi iniziano a spuntare come funghi. I fumatori interpretano e cambiano il mondo giusto il tempo di fumarsi una sigaretta.
In quanto sociale, il fatto di fumare non è mai socialmente neutrale. Le sue connotazioni storiche e sociali si estendono in tutte le direzioni, alcune lontane da quella comunista. Ma nelle attuali condizioni di divieto e di anatemi politici sempre più numerosi, sullo sfondo di una eccessiva campagna anti-fumo e di sempre nuovi regolamenti che incarnano qualcosa come una caricatura della “biopolitica” nel suo legame con l’esclusione, il fumo si delinea generalmente come una metafora, rispecchia e rifrange tutte le altre esclusioni in un modello in miniatura, traccia una linea di divisione che riunisce e mette insieme molteplici linee di separazione. I fumatori illustrano e rappresentano. Rappresentano, ad esempio, il cancro della salute del corpo sociale, e il godimento è trattato sempre più come un cancro della disciplina corporea normativamente prescritta. Nel godimento c’è sempre qualcosa che va al di là del “principio di piacere”, qualcosa di recalcitrante e resistente agli obiettivi della sopravvivenza. Il fumare promuove il godimento in seno a una società alla ricerca del piacere, contro l’orizzonte delle sue ingiunzioni edonistiche. Persegue un po’ troppo il piacere, fino al limite evocante lo spettro del letale, e ciò rispetto a cui è allergica la società promotrice della salute e del piacere è, per dirlo in una parola, il godimento. Freud, un grande fumatore, lo sapeva bene. E così Lacan, un altro fumatore, che aveva stabilito un’opposizione totale tra piacere e godimento.
Certo, il comunismo da fumo si dissolve rapidamente, allo stesso modo in cui è emerso – va tutto in fumo. Dapprima, con il magico potere del fumo di sigaretta «tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria», per dirla con le prime righe del Manifesto di Marx (un altro fumatore), tutte le relazioni sociali sono momentaneamente dislocate e scosse, e poi, in un secondo momento, lo spettro del comunismo emerso nel processo si dissolve a sua volta nell’aria. Senza lasciare traccia, proprio come il fumo? C’è indubbiamente il rischio di romanticizzare il momento passeggero e celebrarne il fascino, il momento in cui tutto sembra momentaneamente possibile, anche se solo attraverso una cortina fumogena. Oh, la bellezza passeggera di ciò che è passeggero, la chiamata delle Sirene dell’istante sublime! C’è il saldo impulso intellettuale di resistere a una simile inclinazione così come all’ottimistico movimento autocelebrativo consistente nel trasformare qualcosa di banale in qualcosa di profondamente sovversivo, con la massa di rivoluzionari facili e veloci che si danno importanza e che pensano di poter fare a meno della disciplina, dell’analisi e dell’organizzazione. Ma, probabilmente, dovremmo resistere anche all’impulso di resistere e lasciarci andare a un momento di fantasia.
I fumatori, come i proletari, non hanno patria, ma creano all’istante territori liberati ovunque appaiano. Il fumare ha sempre rappresentato la libertà, una libertà contro le catene della sopravvivenza, è una presa di posizione contro la sopravvivenza. Ecco cosa afferma il fumatore: sono libero in catene, sono incatenato a un’abitudine sulla quale proprio non posso cedere, ma queste catene mi permettono di prendere una qualche distanza da altre schiaccianti catene e sono disposto a pagarne il prezzo. Il fumatore fa una dichiarazione, che può essere letta in tutti i modi possibili: cinico, spontaneo, rilassato, nevrotico, psicotico, perverso, ossessivo, compulsivo, piacere colpevole, peccaminoso, dandy, bon-vivant, disperato, anti-stress, aggressivo, arrogante, seduttivo, ricercato, segno di classe, segno di perdita di classe, come socialità, come comportamneto anti-sociale… Ma contro tutte le probabilità e all’insegna di una fantasia selvaggia mi piacerebbe che questa dichiarazione si leggesse così: il comunismo ha una chance.