Godersi il capitalismo


Todd McGowan insegna Teoria del cinema presso la University of Vermont (USA). La sua ricerca è principalmente orientata a mostrare come quelle idee su esistenza, legami sociali e politica che sono state sviluppate da Hegel, Marx, Freud e Lacan si presentino nei film e, in generale, in tutti i prodotti artistici e mediatici della civiltà occidentale. È molto apprezzato il suo approccio psicoanalitico nella teoria dell’immagine filmica, fondata sui concetti lacaniani di desiderio e identificazione. Le sue numerosissime pubblicazioni si concentrano spesso sulla pervasività degli effetti della struttura capitalistica nella società, nella psiche e nell’esistenza individuale. McGowan ha gentilmente accettato l’invito di Litorale a inviare un testo su quest’ultimo tema, un testo che, come il lettore avrà il piacere di scoprire, viene sviluppato chiaramente fino ad una (quasi) inattesa conclusione.

Traduzione di Cristian Muscelli

Quella capitalistica è la prima società a consegnare l’onere della riproduzione sociale all’atto di produzione. La società capitalistica si riproduce non assicurando la ripetizione dei rituali o grazie a meccanismi attivi per mantenere tutto così com’è. Al contrario, il capitalismo richiede che tutti indirizzino la loro attenzione alla produzione e mettano da parte le preoccupazioni per la riproduzione della società, che diventa così una preoccupazione secondaria. Anche l’istruzione diventa un meccanismo per alimentare una maggiore produttività piuttosto che per trasmettere la conoscenza che l’ordine sociale ha accumulato. Nel regime capitalistico la produzione non crea semplicemente ciò di cui la società ha bisogno per sopravvivere, ma più di quello di cui ha bisogno. La produzione capitalistica non serve alla riproduzione ma è, inevitabilmente, sovrapproduzione, produzione di un eccesso. Eppure, ironicamente, questa produzione eccessiva di ciò che non è necessario è essa stessa necessaria per la sopravvivenza del capitalismo. Senza la produzione di un surplus inutile, un eccesso che va al di là di ciò che il sistema o le persone al suo interno richiedono, la società capitalistica non riuscirebbe a riprodursi perché non ci sarebbe quel profitto che incoraggia gli investimenti continui nella produzione. La sovrapproduzione dell’inutile è la linfa vitale del capitalismo.

L’enfasi sulla produzione come mezzo di riproduzione allontana definitivamente la società capitalistica da tutti le formazioni sociali finora esistite. Le precedenti forme sociali – l’Impero Maya, l’antica società cinese, la Repubblica Romana, l’Europa feudale – dedicarono le loro principali energie a riprodurre la loro struttura formale. La riproduzione agisce come valore preponderante in ogni ordine sociale. Questa attenzione alla riproduzione ha un senso: permette a ogni società di sopravvivere fino a quando le sue contraddizioni interne o un nemico esterno non la distruggono. Queste società non hanno impegnato le loro energie sociali nella produzione di un surplus inutile come fa la società capitalista. Ciò che era inutile aveva un ruolo, ma era confinato principalmente ai rituali religiosi o ai riti di iniziazione. Nelle strutture sociali non capitaliste, l’eccesso inutile era limitato a un tempo e a un luogo specifici affinché non costituisse una minaccia al benessere della società. L’assoluta enfasi sulla produzione di un eccesso inutilizzabile distingue la forma socioeconomica del capitalismo da tutto ciò che è venuto prima.

A differenza di tutte le altre forme di società, la riproduzione della società capitalistica avviene incidentalmente attraverso il processo di produzione eccedente. I capitalisti assumono lavoratori per produrre merci e i consumatori acquistano queste merci, e in questo modo la società riesce ad andare avanti. La società si rinnova attraverso gli sforzi individuali finalizzati all’arricchimento, che alla fine sono lo strumento stesso per la sopravvivenza della società. Ma la perpetuazione della società non è lo scopo specifico né del capitalista né del lavoratore. È come se una mano invisibile dirigesse le cose. Nel regime capitalistico, la riproduzione sociale è un fenomeno contingente. Nessuno all’interno del sistema ha questa responsabilità, mentre, per esempio, tutti nell’antica Grecia, da Aristotele agli schiavi che lavoravano per lui, contribuivano per garantire la continuazione futura della società greca. Nelle strutture sociali precedenti, la sopravvivenza della società stessa superava ogni altra considerazione. Anche se è orientato dal principio dell’accumulazione futura del capitale, anche se è più orientato al futuro di qualsiasi altra struttura sociale, il capitalismo non lascia a nessuno il compito di assicurarsi che la forma stessa della società possa continuare a esistere nel futuro.

L’attenzione alla produzione invece che alla riproduzione ha profondi riverberi. È, ad esempio, al centro della crisi che circonda il cambiamento climatico. La sopravvivenza è un bene che non riguarda il capitalismo. In questo senso, il fatto che ora il capitalismo minacci di distruggere l’abitabilità del pianeta non dovrebbe sorprendere. Si riproduce attraverso la produzione di un surplus, che diventa fonte di nuovo valore. Non c’è un freno interno al sistema capitalista per questa produzione del surplus. È l’unica forma sociale che per riprodursi utilizza la produzione eccessiva, piuttosto che organizzare la propria riproduzione attraverso riti e rituali che stabiliscano la continuità, motivo per cui il capitalismo procede attraverso un costante sradicamento di ogni continuità e una dissacrazione dei rituali. La produzione del surplus rende possibile la riproduzione della società, di conseguenza c’è sempre troppo nella società capitalista, compreso un troppo di gas serra.

I tentativi di garantire la riproduzione dell’ordine sociale prestando attenzione alla distruzione del pianeta si infrangono sulla smisurata produttività del capitalismo. Non è un caso che la crisi climatica si sia verificata durante l’epoca capitalista e non in quella precedente. L’eccesso capitalista non solo genera i gas serra che portano alla catastrofe, ma la mancanza di preoccupazione del capitalismo per la riproduzione sociale rende impossibile per chiunque affrontare adeguatamente la crisi. Il vero coraggio e il sacrificio di gruppi come “Fridays for Future” hanno un impatto sufficiente per fare una significativa differenza nel processo di distruzione ambientale in corso. Finché resteremo all’interno della logica del sistema capitalista, il disastro climatico sarà inevitabile. Non ci sono soluzioni capitalistiche, nonostante le fantasie dei produttori di energia rinnovabile. La società capitalistica si distingue perché non produce semplicemente ciò che sarebbe sufficiente per riprodursi, ma produce sempre di più, fino al punto in cui questo eccesso minaccia l’esistenza stessa. All’interno del capitalismo, produrre e consumare sempre più ha un valore infinitamente maggiore, garantito che ci sia anche una sola persona viva per godere dei frutti di questa produzione.

Non importa quanto cerchino di spostare l’attenzione sul problema della riproduzione, gli ecologisti non riescono ad avere un impatto nell’universo capitalista. Parlare il linguaggio della riproduzione e delle limitazioni necessarie per garantirla, vìola l’impulso capitalista a produrre in eccesso. Se la soluzione all’emergenza climatica richiede l’eliminazione della crescita e l’accettazione di limiti fondamentali, essa non sarà mai accettabile per la società capitalista: se non cresce, la società capitalista muore. Non c’è possibile riavvicinamento tra la richiesta di limitare la produzione in nome della riproduzione sociale e l’imperativo che guida la produzione capitalistica.

Il punto della società capitalistica non è sostenere le cose così come sono, ma acquisire più di quello che già si ha. Il capitalista crea valore non soddisfacendo i bisogni, ma stimolando il desiderio del sempre più. L’unico valore nella società capitalistica sta nel produrre e consumare un surplus, non nella sufficienza. La promessa del di-più riguarda ogni merce e ne guida la produzione. Produrre o consumare quanto basta è sempre un fallimento. Così facendo si sfida la logica fondamentale che sostiene il sistema. C’è un imperativo sociale di accumulare più soldi, più merci, più divertimento. Questo imperativo sociale è essenziale per la struttura della società capitalistica, perché la società si basa proprio sulla produzione e sul consumo di un surplus. L’indifferenza verso la riproduzione sociale deriva dalla singolare attenzione del capitalismo verso l’eccesso. Uno è un soggetto capitalista nella misura in cui si dedica al progetto di essere eccessivo e di soddisfare l’eccesso degli altri.

L’eccesso è intrinseco alla forma della merce. La merce promette il di-più, e questa promessa contagia la nostra concezione del godimento, portandoci a identificare il godimento con il raggiungimento di un eccesso puro, un eccesso non ostacolato da alcuna mancanza o limite. Nel capitalismo il godimento diventa l’immagine di un’accumulazione completa che finalmente includa tutto ciò che c’è. Il capitalismo separa il godimento dell’eccesso da ogni mancanza. Promette un godimento futuro non mancante – se solo uno produce o acquista merce da godere. Ciò che guida il soggetto capitalista è l’idea di un futuro di godimento illimitato. Ecco perché qualcuno come Bill Gates, nonostante le sue incredibili ricchezze, non raggiunge mai il punto in cui decide di avere abbastanza soldi da poter smettere di accumulare. Lasciare il denaro sul tavolo, allontanarsi dall’accumulare, violerebbe l’imperativo che domina la vita capitalista e metterebbe in discussione l’intero progetto capitalista. Si deve sempre ottenere il massimo che si può. L’imperativo di accumulare domina la vita capitalista a tal punto che è quasi impossibile immaginare qualcuno che rifiuti un aumento di stipendio o un’opportunità di investimento perché ha già abbastanza. Naturalmente, non tutti seguono questo imperativo con assoluta fedeltà, ma coloro che lo violano sembrano quasi pazzi a tutti gli altri. La sua logica esercita un ruolo determinante nelle nostre valutazioni finché restiamo all’interno della stessa logica della società capitalistica.

L’accumulazione non si limita mai, ma si spinge sempre più avanti finché non incontra una resistenza, cosa che accade sempre. Ci sono barriere all’accumulazione, ma sono sempre barriere esterne. Amazon ha concorrenti che forniscono servizi simili e pongono un limite a quanto si può accumulare. Apple si imbatte nella barriera strettamente esterna di quante persone possono permettersi i suoi telefoni. L’individuo ha solo una quantità limitata di tempo in ogni sua giornata da dedicare ad accumulare esperienze di divertimento. In ogni caso, la barriera all’accumulo è estrinseca. L’accumulazione capitalista sempre e necessariamente si imbatte in una forza esterna che lo limita, che si tratti di un concorrente, di clientela limitata o della quantità finita di tempo. Non può limitarsi, nessun soggetto capitalista può mai dire “ne ho abbastanza” e rimanere un soggetto capitalista, ma alla fine deve incontrare una barriera della quale non decide liberamente. Il rifiuto del capitalismo di qualsiasi limite o mancanza interna ritorna sotto forma di un incontro con qualcosa di esterno.

Il limite è antitetico al capitalismo perché ammettere la necessità di un limite significa ammettere che qualcosa deve sempre mancare. La fantasia che organizza la struttura della società capitalistica è di puro eccesso, cioè di un eccesso senza nulla che manchi. È una fantasia di godimento infinito. Questo è ciò che il capitalista mira a costruire e ciò che il consumatore mira ad acquistare. Tutte le transazioni all’interno di questa società operano sotto gli auspici di questa fantasia.

Quando le società si concentrano sulla riproduzione di se stesse, di solito limitano l’eccesso inutile a rituali compiuti periodicamente – sacrificio agli dei, investitura dei leader, introduzione dei bambini nell’ordine sociale, e così via. Questo non è ciò che accade nel capitalismo. La società capitalistica porta un eccesso inutile in ogni angolo del suo funzionamento, perché questo eccesso inutile è ciò che mantiene l’economia in esercizio. Nell’epoca del capitalismo non c’è atto di scambio, nemmeno uno che coinvolga la merce più utile, che non si basi sull’eccesso. Il passaggio dalla riproduzione alla produzione come base dell’ordine sociale dà libero sfogo all’eccesso. L’eccesso inutile diventa la fonte di ogni valore e il centro dell’attenzione di tutti.

Il capitalismo concentra l’attenzione della società su un eccesso inutile installando la forma della merce come logica fondamentale dell’ordine sociale. La regola della forma della merce, il suo funzionamento come paradigma sociale, è ciò che definisce il capitalismo. La forma della merce è la promessa di accumulazione infinita. Investo denaro nel mais come merce, e questa forma mi restituisce denaro aggiuntivo grazie al mio investimento iniziale. Grazie alla forma della merce, questo può andare avanti all’infinito. La promessa di accumulazione infinita funziona anche per il consumatore della merce. Investo nell’acquisto di un nuovo iPhone perché promette più divertimento rispetto alla mia vecchia connettività – migliore connettività, trasmissioni più veloci, un’immagine più nitida, una fotocamera superiore, un suono più chiaro e così via. Indipendentemente dal fatto che io stia per guadagnare denaro o più divertimento attraverso la merce, la forma stessa delinea questa promessa di più. Questa forma è ciò che detta i termini in base ai quali la società capitalista opera.

Il paradigma del desiderio che mantiene l’economia capitalista in corso è un costante desiderio di più. La gente deve desiderare continuamente più merci e più ricchezza – più godimento – altrimenti provocano una crisi. Una fantasia di godimento un futuro non mancante è sottesa a questo desiderio e lo alimenta continuamente. Una crisi si verifica nell’economia capitalista quando un certo numero di persone perdono la loro fede in un domani in cui avranno di più di quel che hanno oggi. Se credono che domani avranno meno, questa mancanza di fede produce una flessione e rivela la contraddizione interna del capitalismo. Il desiderio del di-più e la convinzione che domani porterà di-più non sono solo gli effetti collaterali del sistema capitalista, bensì sono i fattori necessari per farlo continuare.

Il capitalismo non può funzionare senza produrre soggetti che si sforzano per avere di più. Questo desiderio di più dipende da una concezione di godimento che localizza il godimento in un universo di possibilità illimitate. Anche se la regolamentazione statale e la concorrenza capitalistica possono fornire limiti esterni al godimento, il soggetto nell’universo capitalista non può riconoscere alcuna mancanza come essenziale al suo modo di godere. Questo è il punto fondamentale.

La promessa del capitalismo è che l’eccesso della merce può guarirci dalla nostra mancanza. Se troviamo la merce giusta, o se ne accumuliamo abbastanza, avremo un eccesso illimitato. Un godimento puro non disturbato dalla mancanza è sempre all’orizzonte, ma questo orizzonte retrocede sempre quanto più ci avviciniamo ad esso. La promessa dell’eccesso senza mancanza è l’inganno capitalista di base.

La pulsione capitalista è una spinta ad aumentare costantemente il godimento. In questo modo, assicura che le persone siano sempre alla ricerca di un godimento che non troveranno mai. Cercare senza essere in grado di trovare è la via capitalista; seguire questa via è ciò che rende una persona un buon soggetto capitalista. Sistemato in questa posizione, il soggetto crede di dover rendere presente il godimento ricercandolo in una merce. La presenza dell’oggetto promette di essere più piacevole della sua assenza, ma ottenerlo significa privarsi di ciò che lo rende piacevole.

Poiché ottenere un oggetto dissipa piuttosto che facilita il godimento, il soggetto capitalista non può raggiungere l’aumento di godimento che cerca. Invece di cercare il godimento in ciò che manca, il capitalismo richiede che produciamo e consumiamo di più per accedere a un godimento presente. L’imperativo che impone più godimento ci lascia sempre con meno. Più si accumula, meno godimento si ottiene, motivo per cui il progetto capitalista è intrinsecamente controproducente. Ma allo stesso tempo, la richiesta di un oggetto presente nella forma di una merce produce paradossalmente il godimento della mancanza, anche se il soggetto cerca il godimento del di-più.

Il capitalismo facilita il godimento della mancanza attraverso il paradosso di chiedere sempre più divertimento, insistendo sul fatto che nessuna quantità di divertimento è mai sufficiente. Il motto del capitalismo è lo slogan: “troppo non è abbastanza”. Nessuna quantità di accumulazione è mai sufficiente per il soggetto capitalista. Si è obbligati a cercare sempre più capitale e sempre più godimento. Nessuno raggiunge mai abbastanza perché il punto è il godimento piuttosto che il bene, e non c’è mai abbastanza godimento. Non c’è un livello ottimale di godimento. Ma il risultato della richiesta di più godimento è esso stesso godimento. La richiesta capitalista del troppo lascia il soggetto con la convinzione che non ha mai abbastanza, ma è proprio di questo non abbastanza che il soggetto capitalista gode. Si cerca di più godendo la mancanza che viene da ciò che si sacrifica per avere di più. Il fallimento del capitalismo è ciò che lo mantiene praticabile per coloro che investono in esso. Ma non riescono a vedere ciò di cui godono quando godono come capitalisti. Essi non riescono a comprendere che godono dell’incapacità di ottenere un eccesso puro nella forma della merce perfetta.

Il capitalismo vive di godimento, ma rende impossibile al soggetto capitalista (pur rimanendo un soggetto capitalista) riconoscere la fonte di questo godimento. Il travestimento che il capitalismo crea oscura il godimento della mancanza attraverso la sua promessa del di-più. Non si riconosce che si sta godendo ciò che non si ha nella forma del perseguimento di una merce da avere. Questo offuscamento produce un investimento nella forma della merce.

Il passaggio dal bene al godimento che la modernità capitalista effettua crea una società che prospera sull’instabilità. Il capitalismo non ha un punto di stasi dove funziona in modo corretto. Questo perché non c’è alcun bene verso cui tende, nessun bene che potrebbe servire come suo principio organizzativo. Invece, si dirige verso un eccesso che potrebbe soffocarlo, procede guidato dalla distruzione e dal disordine che minacciano la sua stessa sopravvivenza. Il capitalismo vive del godimento che il suo comandamento fondamentale di accumulazione produce quando i soggetti falliscono incessantemente nei loro tentativi di obbedirgli.

Questa rivoluzione che il capitalismo inaugura lontano dal bene è emancipatrice. Finché l’ordine sociale è organizzato intorno al bene, nessuna libertà è possibile. Ecco perché nessun pensatore premoderno tenta mai di concettualizzare la libertà. Nonostante le loro varie speculazioni sulla natura dell’esistenza e della società, né Laozi né Platone né Tommaso d’Aquino hanno un’idea di libertà. Passano il loro tempo a considerare il bene senza affrontare il problema della libertà perché sono pensatori premoderni. Il bene funge da fondamento per l’ordine in cui è impossibile riconoscere la propria intrinseca incapacità di appartenere alla società. Le società organizzate intorno al bene mantengono l’eccesso confinato in un luogo particolare e nascondono così il modo in cui il soggetto stesso è sempre eccessivo rispetto a qualsiasi luogo.

Sebbene il capitalismo rappresenti un tentativo di eliminare l’apertura alla libertà indirizzando il libero agire del soggetto verso un investimento nella merce, non può distruggere la possibilità stessa che la modernità apre. La modernità capitalistica ci permette di vedere la priorità del godimento rispetto al bene. Possiamo vedere che il valore del bene sta solo nella sua disponibilità ad essere sacrificato per il nostro godimento. Liberato dai confini del bene per riconoscere il ruolo che il godimento ha nella strutturazione della sua esistenza, il soggetto può godere della sua libertà. Finché il bene resta un ideale sociale, la libertà è impensabile perché la libertà dipende dalla capacità di agire contro il bene proprio e contro il bene della società. Incatenato all’ideale del bene, nessuno può essere libero. Ma la versione capitalista dell’emancipazione dal bene lascia tutti bloccati in una moderna non-libertà.

La libertà sta oltre la sopravvivenza e oltre la felicità. La libertà non è un bene che tuteliamo, ma un eccesso di cui godiamo. Finché cerchiamo semplicemente di sopravvivere o di trovare il piacere, non possiamo essere liberi. La libertà esiste nelle nostre attività dispendiose, negli eccessi che le epoche precedenti temevano, negli eccessi che il capitalismo vede come fonte di valore. La modernità ci rende liberi di godere di ciò che ci manca piuttosto che di perseguire il bene. Ma per arrivare a questo punto dobbiamo mettere da parte la richiesta del capitalismo del di-più. Godiamo del di-più solo quando non abbiamo abbastanza.