Pubblichiamo il testo di Alessandro Prezioso, psicologo e psicoterapeuta a Termoli. Si tratta di un interessante contributo nel quale l’autore afferma la necessità di distinguere il registro simbolico dai fenomeni socio-culturali e, più in generale, di svincolare lo studio del soggetto dell’inconscio dalla lettura delle trasformazioni dei codici sociali. Tale operazione è resa possibile da una preliminare distinzione tra sintassi e semantica dell’inconscio, distinzione che Prezioso mette in valore in maniera originale e feconda.
Con il presente contributo intendo sostenere l’importanza dell’incontro tra strutturalismo e psicoanalisi, soprattutto considerando l’eventualità che tale incontro si declini e trovi il proprio campo di applicazione privilegiato nella clinica. Non soffermandomi sulle implicazioni di tale proposta, esplorerò solo una delle conseguenze dell’incontro, ovvero la differenza, che dettaglierò, tra registro simbolico e istanze sussumibili sotto l’etichetta di cultura/socius. Sinteticamente, descriverò tale differenza come quella che intercorre tra un processo di natura sintattica ed uno di natura semantica, sottolineando l’irriducibilità del primo momento al secondo e descrivendo il secondo come un effetto aggregato del primo: la produzione di senso – strutturalisticamente – è il portato del gioco di posizioni descritto dal piano della sintassi.
A partire da tali suggestioni, voglio sostenere che:
- sintassi e semantica sono due campi differenti interni ai processi dell’inconscio;
- registro simbolico e fenomeni socio-culturali sono due piani logici non omogenei, da non considerare sinonimi, come spesso avviene nella letteratura psicoanalitica;
- la sintassi equivale ai tempi e ai modi dei processi combinatori dentro una struttura finita (come sostenuto dal pensiero strutturalista). Inoltre, i contenuti che ‘ricoprono’ la combinatoria sono da assimilare alla semantica del sistema, cioè alle variazioni culturali e contingenti che derivano dalle metamorfosi sociali. La produzione di senso è un effetto della logica combinatoria della sintassi, la quale è il punto di appoggio su cui la semantica può introdurre le proprie istanze, le uniche che divengono oggetto di metamorfosi;
- la differenza tra registro simbolico e cultura/socius permette di puntellare la critica delle teorie che interpretano le trasformazioni del soggetto dell’inconscio a partire dalle metamorfosi della cultura/società/codici.
Prima di giungere a dettagliare la mia ipotesi, è necessario anticipare una conclusione (la quale spero possa retroagire sull’insieme di proposte): esiste ed è empiricamente osservabile la stabilità delle strutture soggettive inconsce nella loro interazione con il sociale. Quest’ultimo contribuisce alla modifica dei codici culturali e ideologici, dando vita a fenomeni che coprono in maniera decisiva le strutture, generando conflitti e confusioni diagnostiche, nonché letture imprecise del legame sociale e della sua dimensione politica. Per la precisione, parlando di stabilità e invarianza delle strutture inconsce, mi riferisco al funzionamento logico-formale di quelle strutture, coerentemente con l’insegnamento lacaniano e con le suggestioni dell’antropologia e della linguistica a cui Lacan stesso attinge.
È a tal proposito che propongo di introdurre la differenza tra sintassi e semantica dell’inconscio: intendo assimilare alla sintassi il registro lacaniano del simbolico e il significante e alla semantica la dimensione socio-culturale in cui il soggetto è immerso; suggerisco poi di interpretare tali momenti come assolutamente distinti da un punto di vista logico, eterogenei e in rapporto complesso, esclusi dalla dinamica causalistica (comunque la si voglia intendere).
Cosa si intende per sintassi applicata al discorso dell’inconscio? Si tratta dei tempi e dei modi attraverso cui gli elementi dell’inconscio entrano in relazione reciproca e divengono operativi. Sono le regole fondamentali di funzionamento dell’inconscio, gli snodi invarianti che caratterizzano le dinamiche di orientamento soggettivo e che conducono verso una, ed una sola, particolare organizzazione della personalità: nevrosi e suoi ‘dialetti’, psicosi e sue declinazioni. La sintassi è un gioco di differenze e la struttura si fonda su gradi di differenza sempre maggiori: si potrebbe dire che ad un grado di complessità elevato corrisponde l’articolazione di più differenze (nevrosi); al contrario, le strutture psicotiche dimostrano una scarsa differenziazione tra posizioni sintattiche. Lungo un continuum, sintassi, registro simbolico e logica significante si troverebbero assimilati ad un’unica polarità, perché le tre istanze sono caratterizzate dalla loro essenza combinatoria, secondo la quale il termine che occupa una posizione produce un significato diverso da quello che produrrebbe lo stesso termine se si trovasse in un’altra posizione del sistema/discorso. L’esempio classico in psicoanalisi è quello del fallo, che – a seconda della posizione che occupa dentro la trama fantasmatica – produce differenti configurazioni inconsce e relazionali.
La semantica, di conseguenza, è la coloritura specifica che riempie e caratterizza lo schema fatto di posizioni vuote che è la sintassi. La semantica è il discorso dell’Altro sociale, della cultura, dell’immaginario condiviso, che si modifica in funzione delle metamorfosi dei codici ideologici e materiali attivi in un determinato periodo storico.
Una delle questioni da discutere – alla luce di una distinzione del genere – è la seguente: quanto e come la combinatoria sintattica è condizionata dalla semantica (problema che deriva dalla sua matrice linguistica e di filosofia del linguaggio)? Quanto la dimensione strutturale dell’inconscio (invariante) può subire modifiche nel suo funzionamento a partire dai dati fenomenici della cultura/socius (traduzione in campo psicoanalitico del problema del rapporto tra sintassi (invarianza) e semantica (fenomeni))?
Inoltre, una delle conseguenze di tale distinzione è che l’inconscio produce senso, significato, diviene macchina semantica, solo a condizione di pensare tale effetto come emergente in seconda battuta, a partire dal meccanismo sintattico al fondo del funzionamento inconscio stesso. L’inconscio, in definitiva, non sarebbe un luogo di iscrizione di ricordi caratterizzati semanticamente (al cui fondo risiede cioè un senso stabile e identico a se stesso), di immagini archetipiche, di emozioni, ma il punto di organizzazione di un discorso fatto di posizioni vuote, che vengono riempite dalla contingenza assoluta dettata dalla particolarità soggettiva, dalla singola storia di vita e dai codici culturali egemoni. Sostengo che l’inconscio e il soggetto che ne è ‘abitato’ sono organizzazioni finite che sorgono dall’incontro e dalla divaricazione tra natura e cultura. Tale incontro e divaricazione sono essi stessi ciò che caratterizza più tipicamente l’umano, ciò che definisce meglio l’essere parlante, il quale non è più biologico, ma non ancora e mai completamente simbolico [1]. Dall’esigenza di organizzare i due campi della natura e della cultura, emerge il repertorio ristretto e finito di opzioni e di esiti del processo di soggettivazione, che noi chiameremo, sulla scorta dell’opera freudo-lacaniana, nevrosi, psicosi e perversione. L’organizzazione di cui parlo si avvale di operatori logici, di meccanismi universali che agiscono al di fuori delle contingenze storiche, come apparecchi formali attraverso i quali si determinano le possibilità che il sistema–inconscio viri verso una di queste forme. Come corollario, va dichiarato quanto siffatta proposta debba appoggiarsi alla considerazione di uno spettro della soggettività (e, in clinica, di uno spettro diagnostico) assolutamente discontinuista.
Al fine di chiarire meglio la differenze sostanziale e anche quella interna alla teoria lacaniana tra registro simbolico e matrice socio-culturale, è sufficiente analizzare la fonte da cui scaturisce e si sviluppa il concetto stesso di registro simbolico. Si tratta, come è noto, dell’articolo di Lévi-Strauss sull’efficacia simbolica delle cure sciamaniche in una tribù sudamericana [2].
Quando l’antropologo belga parla dell’efficacia simbolica dimostrata dalle cure effettuate da un santone, descrive l’intero processo in termini di struttura e non di contenuti, di sintassi e non di simbolismo. L’intervento sciamanico si fonda cioè sull’isomorfismo strutturale dei “processi organici” dello “psichismo inconscio” e del pensiero riflesso [3]. Evidentemente, lo sciamano attinge ad un patrimonio condiviso, che è ciò che Lacan chiama grande Altro, senza il quale non potrebbe esistere legame sociale, e tale riferimento permette di comprendere anche come le variazioni interne al sistema del grande Altro possano produrre alcune trasformazioni delle modalità di cura (sciamaniche e analitiche). Ma, come afferma lo stesso Lévi-Strauss con lucidità clinica ammirevole, “il potere traumatizzante di una situazione qualsiasi non può risultare dai suoi caratteri intrinseci, ma dall’attitudine di taluni avvenimenti, che sorgono in un appropriato contesto psicologico, storico e sociale, a indurre una cristallizzazione affettiva che si forma nello stampo di una struttura preesistente”[4]; insomma, il fenomeno riempie una struttura già predisposta e dall’incontro tra le due istanze sorge la particolarità soggettiva del trauma [5]. L’antropologo dettaglia e conclude: “Rispetto all’avvenimento o all’aneddoto, queste strutture – o, più esattamente, queste leggi di struttura – sono veramente atemporali” [6]. Il simbolico è dunque un catalogo di leggi atemporali, una grammatica che determina le regole di aggregazione di fenomeni e non già la natura di quei fenomeni. ”L’inconscio”, insomma “cessa di essere l’ineffabile rifugio delle particolarità individuali”, riducendosi “a un termine con il quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo, ma che si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi; e che si riduce, in realtà, all’insieme di queste leggi”[7]. In conclusione Lévi-Strauss ci ricorda che “il mondo del simbolismo [è] infinitamente diverso per il suo contenuto, ma sempre limitato dalle sue leggi”[8], e che “la forma mitica precede il contenuto del racconto”[9].
Introduciamo, a questo proposito, alcuni esempi che chiariscano la differenza tra registro simbolico/sintassi/significante e cultura/socius/immaginario.
- Differenza sessuale
Il vertice sintattico circoscrive l’incrocio di biologia e cultura, contraddistinto dall’alternativa maschio/femmina, come struttura vuota fatta di due posizioni (queste sono alternative tra posizione attiva e passiva in regime di esclusione reciproca). I dispositivi inconsci che incanalano il soggetto verso tale aut aut (la castrazione, il fallo, le identificazioni, l’Edipo) funzionano in modo tale che il soggetto stesso deve assumere psichicamente una delle due posizioni.
Il vertice semantico designa i modi di traduzione della costruzione sintattica in una data epoca, attraverso i codici culturali, sociali, immaginari, ideologici e materiali a disposizione dell’individuo. Oggi, ad esempio, assistiamo al tentativo di una forzatura semantica del dispositivo sintattico di sessuazione. Intendo sostenere cioè che, a fronte del congegno sintattico interno ai meccanismi di sessuazione (maschio o femmina, e ciò che occupa una posizione non occupa l’altra), la coloritura sociale e culturale che osserviamo opera nel tentativo di piegare il gioco combinatorio, proponendo la proliferazione delle etichette identitarie, definita fluidità di genere. Si tratta, a mio parere, di una lettura ideologica, e dunque sovra-strutturale, che non può intaccare il dispositivo di assunzione di identità sessuale, ma solo costruire un prodotto culturale che moltiplica le lenti di lettura e interpretazione sul mercato delle idee, senza che ciò incida sui meccanismi operanti nel processo di soggettivazione.
- Struttura soggettiva. Si tratta della ‘scelta’ soggettiva all’interno del ventaglio finito di ipotesi che la psicoanalisi descrive come nevrosi, psicosi e perversione.
Il vertice sintattico descrive la serie di istanze che scandiscono le modalità di costituzione dell’inconscio: si tratta della castrazione, della questione del fallo (dov’è e cosa produce la sua circolazione in un sistema inconscio transgenerazionale), e quella delle identificazioni. Tali operatori non sono trasformati dalla cultura di riferimento o da quella storicamente egemone, essendo piuttosto attivi all’altezza di una esigenza fondamentale per l’umano, che è quella di prodursi sul confine tra natura e cultura, e di avere la possibilità di articolare tale incontro: propongo di considerare l’inconscio come la concretizzazione di quella possibilità, in quanto precipitato del rapporto tra organismo e significante.
Il transito dell’individuo attraverso i dispositivi logico-formali dell’inconscio ne determina anche l’iscrizione nell’ambito delle strutture soggettive, implicando in tale atto l’impossibilità del passaggio da una struttura alle altre (si tratta della critica strutturalista alla teoria dei nuclei di personalità, oggi maggioritaria in psicoanalisi, dove impera il paradigma diagnostico continuista).
Il vertice semantico è il tessuto culturale che connota i fenomeni attraverso cui si presenta una determinata struttura soggettiva: il caso più banale è quello delle forme del delirio (psicotico), che rispondono ad una esigenza fondamentale e strutturale per il soggetto (quella di recuperare la tenuta della realtà che va disintegrandosi attraverso un rammendo pieno di senso), attingendo a patrimoni immaginari differenti. Ad esempio, il tema della macchina influenzante ha certamente declinazioni diverse in relazione alla cultura di riferimento del soggetto schizofrenico che ne subisce i sintomi, e soprattutto del periodo storico in cui si manifesta (l’agente dell’influenzamento sarà cioè connotato in connessione alle coordinate culturali e tecnologiche del tempo e del luogo in cui l’individuo è immerso), per quanto tale forma delirante resti, nella sua configurazione, identica per funzione psichica e profilo strutturale [10].
La proposta di un ritorno allo strutturalismo in psicoanalisi si fonda anche sulla considerazione e sull’importanza teorica e clinica della convinta adesione di Lacan allo strutturalismo, il quale ha applicato elasticamente questa griglia concettuale alla psicoanalisi stessa lungo tutto il corso del suo insegnamento, come costante riferimento paradigmatico dentro il quale egli innestava le nuove acquisizioni del suo insegnamento. Mi sembra dunque scorretto da un punto di vista teorico non considerare questo elemento, ritenendo l’ultimo periodo dell’insegnamento lacaniano quello ‘autentico’ e caratterizzato da un anti-strutturalismo in cui è affermata solo la particolarità soggettiva e non la legge universale dell’inconscio. Di conseguenza, reputo insostenibile l’inclusione totale del registro simbolico nelle categorie del sociale e nelle metamorfosi della cultura e delle sue dinamiche.
Affermare la centralità di un ritorno allo strutturalismo in psicoanalisi significa, poi, chiarire i rapporti tra struttura dell’inconscio e fenomeni socio-culturali, limitando la deriva di un pensiero psicoanalitico che si fa sociologia, e che aggancia il funzionamento dell’inconscio alle metamorfosi dei fenomeni storicamente determinati. Ne è un esempio tutta la corrente che sostiene l’esistenza nella contemporaneità di una “nuova economia psichica” o quella della ”evaporazione del Nome-del-Padre”, le quali individuano nei cambiamenti del legame e del discorso socio-culturale la causa di un differente assetto simbolico (strutture dell’inconscio), parificando così i due piani (quello del registro simbolico e quello del socius).
Il ritorno allo strutturalismo si dimostra dunque uno dei modi per dettagliare il ruolo della psicoanalisi da un punto di vista epistemologico ed etico, e per specificare la funzione, il ruolo, i limiti e le possibilità teoriche e cliniche della psicoanalisi nella post-modernità.
Note
- Si veda, ad esempio: P. Virno, E così via, all’infinito. Logica e antropologia, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, ma anche E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. Il linguaggio, Milano, Pigreco, 2015; A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano-Udine, Mimesi edizioni, 2010; M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, Roma, Armando Editore, 1997 [⇡]
- “L’efficacia simbolica”, in C- Lévi-Strauss, Antropologia strutturale. Dai sistemi del linguaggio alle società umane, Milano, NET, 2002 [⇡]
- Ivi, p.226 [⇡]
- Ivi, p. 227 [⇡]
- L’intuizione sembra evocare quella di Maturana e Varela e della loro teoria autopoietica, secondo la quale – in un’ottica anti-evoluzionista – il sistema vivente è la sintesi tra le esigenze interne al sistema stesso (omeostasi) e l’introduzione al suo interno di elementi capaci di omologarsi a tale obiettivo senza smembrare il suo funzionamento fondamentale. [⇡]
- L’ ”Efficacia simbolica”, in C- Lévi-Strauss, Antropologia strutturale. Dai sistemi del linguaggio alle società umane, Milano, NET, 2002, p.227 [⇡]
- Ibidem [⇡]
- Ivi, p.228 [⇡]
- Ivi, p.229 [⇡]
- “La macchina, cioè, al di là dei mutamenti e degli aggiornamenti tecnologici, compare come elemento invariante del delirio, trovandosi a svolgere sempre la stessa funzione. Pertanto le macchine cambiano, ma fanno sempre le stesse cose: vengono utilizzate nella costruzione delirante all’interno di una struttura che si ripete.”, M. Rossi Monti, “Il caso dei deliri bizzarri: macchine e delirio”, in Annali del dipartimento clinico “G. Lemoine” IRPA, Follia, psicosi e delirio 2.2010, F. Lolli (a cura di), Milano, et al. Edizioni, 2011 [⇡]