La Scuola e la pandemia


Ho pensato di sviluppare alcune considerazioni a partire dagli incontri fatti in questi mesi con gli insegnanti della Scuola Primaria e Secondaria di primo grado. Gli incontri vertevano sugli effetti psicologici della pandemia da Covid-19 sul mondo della Scuola, in particolare sul lavoro dei docenti impegnati nell’attuale fase della riapertura. Articolerò queste considerazioni su tre punti che mi sembrano fondamentali.

Primo punto: riconoscere l’autorevolezza della Scuola
Dobbiamo rivolgere un grande ringraziamento alle Scuole, ai loro dirigenti ed al personale scolastico che in questi mesi di aspettative, tensioni e polemiche hanno organizzato e realizzato la cosiddetta riapertura della Scuola. Come è andata questa riapertura? E’ andata bene, è un giudizio che possiamo certamente dare al di là della risonanza mediatica che è stata data alle difficoltà organizzative. Occorre riconoscere il grande lavoro svolto e ringraziare chi lavora nella Scuola per quanto di buono fatto sino ad oggi. Le famiglie, dopo mesi di attesa, hanno potuto riaccompagnare i propri figli a Scuola in sicurezza, bambini e ragazzi sono rientrati a Scuola con contentezza e felicità ritrovando i compagni e l’impegno proprio dello studio. Insegnanti, genitori ed alunni dovrebbero essere soddisfatti ma sembra che non si parli molto di questa soddisfazione. E’ stata data molta eco alle mancanze ed alle difficoltà della Scuola ma non si sta dando sufficiente attenzione a quanto di buono la Scuola ha fatto negli ultimi mesi.
La pandemia ha determinato prima la chiusura della Scuola a Marzo, in uno scenario di desolante smarrimento, e poi la sua riapertura a Settembre in un clima di grande aspettativa e tensione. Sono stati due momenti importanti della pandemia che a mio parere ci hanno lasciato e ci stanno lasciando due grandi insegnamenti. La chiusura della Scuola, la sua assenza ha fatto sentire a tutti l’importanza della Scuola, non tanto perché, come è stato più volte rimarcato, le famiglie hanno dovuto farsi carico delle incombenze organizzative e gestionali di una nuova quotidianità, ma soprattutto perché abbiamo compreso che la Scuola è un luogo imprescindibile per l’apprendimento, l’educazione, la socialità e la crescita di bambini e ragazzi. La didattica a distanza ha dato un piccolo/grande sollievo, ma tutti hanno ben compreso nei mesi della chiusura che la didattica si basa sulla presenza, sull’incontro e sullo scambio tra adulti e pari in carne ed ossa e che la Scuola sia innanzitutto il luogo della socialità. Spero che questo insegnamento non venga dimenticato con la ripresa futura della normalità, anzi auspico che queste consapevolezze possano trovare ulteriore sviluppo e diventino un punto centrale della Scuola del futuro.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito all’affermazione di un modello di Scuola basato sulla valutazione fine a se stessa e sull’aziendalismo e questo ha determinato la progressiva diffusione al suo interno dei paradigmi dell’iper-cognitivismo dell’apprendimento, dell’efficacia performativa, della misurazione quantitativa e delle tecniche procedurali. E’ un modello che sicuramente si presta bene alla didattica a distanza, all’apprendimento computazionale, ma l’attuale pandemia ha dimostrato che tale modello è inadatto alla funzione formativa della Scuola, funzione che resta la vera anima della Scuola.
Il secondo insegnamento riguarda l’attuale fase della riapertura. La Scuola ha dimostrato di avere grandi capacità e abilità, ha saputo dare, in questo scenario di confusione, tensione e conflittualità, un esempio di regolarità, organizzazione, oserei dire di normalità fatta di azioni, ritmi, abitudini quotidiane che da mesi erano state perse. Queste capacità e abilità non sono dipese dalle risorse aziendali della Scuola ma sono state frutto dell’impegno e della passione di insegnanti e dirigenti che in molte occasioni hanno permesso di andare oltre gli impedimenti e le contraddizioni proprie di un modello gestionale tecnico ed aziendalistico. Dunque, come dicevo all’inizio, occorre riconoscere il lavoro svolto e ringraziare il mondo della Scuola e soprattutto occorre riconoscere l’autorevolezza del suo personale, autorevolezza data dalle capacità proprie del personale scolastico che ha dimostrato di saper affrontare e superare questa situazione di emergenza così difficile.
Il riconoscimento dell’autorevolezza è un atto importante per il futuro della Scuola che da anni è attraversata dalla cosiddetta crisi dell’alleanza educativa Scuola-Famiglia. La Scuola “patriarcale o edipica” (così è stata definita da alcuni psicoanalisti), ovvero la Scuola dell’autorità garantita dal ruolo e dall’istituzione in quanto tale, ha subito un declino progressivo che dura oramai da alcuni decenni, declino anche legittimo in quanto troppo spesso l’autorità degli insegnanti corrispondeva ad una postura distaccata e giudicante o ancor peggio sadica. Il modello patriarcale o edipico della Scuola è in via di sparizione ma ancora non assistiamo ad un vero e proprio slancio innovativo, si permane in una sorta di nostalgia diffusa per una postura che non c’è più con alcuni timidi sforzi, destinati a spegnersi, per ristabilire un’autorità che è stata perduta.
Accanto alla crisi dell’autorità garantita della Scuola, ha preso forma la progressiva apertura della Scuola alle famiglie che sono chiamate a partecipare alla definizione dell’organizzazione scolastica secondo il giusto principio della democratizzazione delle istituzioni. Troppo spesso però la legittima partecipazione delle famiglie è stata intesa in un’ottica aziendalistica come soddisfazione del cliente.
Una delle conseguenze principali sotto gli occhi di tutti è la degenerazione della partecipazione in lamentele, rivendicazioni, richieste di risarcimento e denunce di diritti violati. L’accusa che le famiglie rivolgono alla Scuola è di non saper riconoscere, valorizzare e promuovere il talento dei propri figli (all’alleanza educativa Scuola-Famiglia abbiamo sostituito l’alleanza Alunno-Famiglia). “La Scuola sta diventando uno Studio Legale”, così mi diceva un Preside virtuoso già quindici anni fa, dispiaciuto dal fatto che la Scuola fosse sempre più impegnata, dissipando grandi energie, a rispondere alle istante recriminatorie delle famiglie.
Il declino dell’autorità garantita proprio della Scuola è un dato di fatto dal quale non si può tornare indietro, l’apertura della Scuola alle famiglie è un processo di democratizzazione importante che deve arricchire l’istituzione, tuttavia dobbiamo prestare attenzione e fare in modo che questi due processi siano sostenuti da una cultura che sappia riconoscere la funzione autorevole della Scuola. La chiusura prima e la riapertura dopo sono state una grande dimostrazione di un’autorevolezza riconquistata dalla Scuola.

Secondo punto: la Scuola come possibilità di resilienza
La psicologia durante la pandemia ha parlato molto di ansia, panico e stress da Covid-19. Come si gestisce l’ansia? Quali consigli per tenerla a bada? Conosciamo oramai tutto su come limitare l’ansia: le tecniche, i buoni consigli, gli psicofarmaci. Ci è stato spiegato che l’ansia è una reazione naturale dell’organismo di fronte ad un pericolo, un’attivazione dell’organismo in cerca di una soluzione. Ma se la soluzione di fronte al pericolo non si trova, allora l’organismo sviluppa una sindrome da stress, le cosiddette sindromi post traumatiche da stress, in cui ormoni e neurotrasmettitori si attivano o inibiscono a seconda dei casi ammalando l’organismo. Le cure proposte dalla psicologia per queste sindromi, seppur certificate come efficaci, non hanno prodotti i risultati attesi: le direttive dei terapeuti, i rapidi movimenti oculari, le suggestioni in stati ipnoidi e le innumerevoli forme di training autogeno risultano impotenti per coloro che effettivamente soffrono di ansia.
Certamente il Covid-19, per le caratteristiche proprie del contagio e della malattia, alimenta l’ansia. Il virus è invisibile ai nostri occhi, è ovunque ma non è localizzabile; vive nelle persone e può raggiungerci attraverso i contatti sociali ma permane anche per un certo tempo negli oggetti dell’ambiente, persino nell’aria dunque il contatto è inevitabile. Una volta che il virus entra nel nostro organismo, può restarvi per un periodo e andare via in modo silenzioso, senza produrre sintomi, oppure nel giro di pochi giorni può replicarsi e attaccare il nostro apparato respiratorio mettendo a rischio la nostra vita.
Le caratteristiche di questa malattia hanno enormi implicazioni sul piano psicologico perché attivano delle polarità psichiche che sono alla base della nostra vita emotiva e relazionale: interno/esterno, apertura/chiusura, socialità/solitudine, vicinanza/distanza, conoscenza/ ignoranza, controllo/perdita di controllo, forza/fragilità. Sicuramente il Covid ha prodotto e continuerà a produrre degli squilibri nelle polarità descritte, con importanti effetti di disagio e sofferenza sia sul piano soggettivo che sul piano dei legami sociali.
Il lavoro degli insegnanti espone facilmente a questi squilibri. La chiusura, la distanza ed il controllo non sono soluzioni possibili, per lo meno sul piano di realtà, ed essendo obbligati all’apertura ed alla socialità dal loro stesso mestiere, gli insegnanti sono esposti all’ansia in quanto privati della possibilità di proteggersi limitando i contatti sociali. Inoltre, e questo è l’elemento che più preoccupa in questa fase, l’esposizione al virus durerà ancora un tempo significativo, non avrà il carattere dell’eccezionalità o dell’occasionalità. Non sappiamo quale sarà lo sviluppo della seconda ondata di contagi ma possiamo ragionevolmente presumere che proseguirà per diversi mesi e questo pone il problema della tenuta psicologica degli insegnanti.
Cosa possiamo dire su questo? Penso che sia giunto il momento di introdurre un cambio di paradigma interpretativo, almeno sul piano psicologico. Si è parlato molto di paura, panico, stress ma forse uno dei segnali più interessanti ed incoraggianti è che si cominci a parlare di resilienza. In psicologia la resilienza è la capacità di reagire a traumi e difficoltà, recuperando l’equilibrio psicologico attraverso la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della struttura della personalità. I fattori facilitanti della resilienza sono i sistemi che sostengono la nostra capacità di formare legami affettivi, far parte dei gruppi sociali ed usare le relazioni affettive per modulare lo stress. La resilienza è una capacità ed una risorsa individuale che si alimenta nella relazione con gli altri e con la comunità di appartenenza.
Parlare di resilienza invece che di ansia rappresenta un possibile cambiamento di paradigma della psicologia sul Covid che ritengo possa essere utile sia sul piano individuale che sociale. L’ansia è un fenomeno che riduce l’individuo al proprio corpo, un corpo fuori controllo di cui l’individuo è in balia.
L’ansia in questo senso funziona come il Covid, entra in risonanza con esso e ci lascia soli e smarriti di fronte ad un pericolo che non riusciamo ad identificare. Parlare di resilienza allora può essere utile perché collega l’individuo solo e smarrito ad una dimensione relazionale e sociale che può liberare dall’ansia. La sofferenza psicologica da pandemia è certamente qualcosa che tocca gli individui, ma le persone non sono monadi, vivono in una comunità, in un contesto sociale che è fondamentale per accogliere, riconoscere e prendersi cura di questa sofferenza.
Seguendo questa logica, è importante che il paradigma della resilienza entri nella Bambini e ragazzi cominciano a manifestare sintomi di stanchezza, irrequietezza e intolleranza verso le regole oppure chiusura, ritiro e difficoltà a sostenere ritmi e abitudini quotidiane. Fra gli insegnanti e i genitori cominciano a crescere paure e preoccupazioni. Mi pare fondamentale, in questa complessa fase dell’emergenza sanitaria, che le sofferenze possano essere riversate e condivise in un gruppo che, se ben funzionante, permette di alleggerirsi, di rafforzarsi l’un l’altro, di darsi appoggio e forza psichica. Il gruppo e la comunità sono necessari per la resilienza e la Scuola, oggi, è sicuramente un’istituzione di riferimento e di esempio in grado di accogliere, riconoscere e prendersi cura delle sofferenze di bambini e ragazzi.

Terzo punto: la Scuola che cura la società
Vorrei sviluppare questo punto raccontando l’esperienza di uno psicoanalista di nome Wilfred Bion che ha studiato e condotto dei gruppi di militari durante la seconda guerra mondiale. Finita la guerra, scrive il libro “Esperienze nei gruppi” dove descrive i meccanismi inconsci del funzionamento dei gruppi.
Per Bion esiste una doppia dimensione nei gruppi: quella razionale definita dagli obiettivi e dalle finalità e dalle modalità di relazione fra i componenti del gruppo; quella irrazionale definita dalla circolazione all’interno del gruppo di fantasie inconsce che hanno un carattere magico ed onnipotente.
Tali fantasie creano l’illusione di raggiungere le finalità prefissate dal gruppo razionale ma in realtà costituiscono una difesa rispetto alle ansie del gruppo prodotte dal dover affrontare un compito difficile e complesso. Ciò che mi pare interessante è che queste fantasie, che si sviluppano e si diffondono nel gruppo in modo automatico ed inconscio, da una parte hanno l’effetto di sollevare gli individui dalle angosce di impotenza, frustrazione e incertezza ma dall’altro alimentano un’illusione che tende a negare la realtà. Invece che risolvere un problema, lo producono.
Per Bion le fantasie inconsce che circolano all’interno del gruppo sono tipiche: la fantasia di dipendenza che si esprime nell’attesa di un capo che possa risolvere i problemi; la fantasia di accoppiamento che si esprime nell’attesa di un evento o di un individuo, un messia, che risolva tutti i problemi; la fantasia di attacco e fuga che si caratterizza con la convinzione secondo cui esiste un nemico esterno da attaccare o da evitare.
Potremmo utilizzare ciascuna di queste fantasie per spiegare i fenomeni sociali effetto della pandemia: le attese di personaggi ed eventi politici o del mondo della scienza che possano risolvere il problema (il vaccino, le terapie, le politiche draconiane o di immunità di gregge); oppure gli attacchi verso nemici o colpevoli espressi dal negazionismo e dal complottismo (gli untori colpevoli, le colpe della Cina, i nomask); e per finire le recenti tensioni sociali che si manifestano con i disordini nelle piazze e gli scontri con la polizia. Nessuno di questi fenomeni ci permetterà di affrontare l’attuale emergenza sanitaria, l’illusione di poter eliminare il problema può sollevare dall’ansia propria dell’impotenza e dell’incertezza ma gli effetti reali di queste fantasie ci allontanano dal poterlo risolvere. Non possiamo negare, espellere, cancellare la presenza di questo virus e di questa malattia, non possiamo delegare a nessuno la sua limitazione, ciascuno è coinvolto e responsabile. Occorre abitare questo mondo invaso dal virus, resistere e sviluppare le risorse individuali e di gruppo che possano permettere di affrontare al meglio l’attuale crisi sanitaria, sociale ed economica.
Devo dire che queste fantasie trovano un’enorme eco nel mondo mediatico e che spesso riguardano quei gruppi che hanno le maggiori responsabilità nella cura e nella gestione politica e sociale della pandemia. Sono fantasie invece poco presenti fra bambini e ragazzi che nei vari contesti – scolastico, casalingo e sociale – hanno dimostrato in tutti questi mesi di saper rispettare le regole e assumere atteggiamenti responsabili. La resilienza è dunque un compito fondamentale per il mondo adulto, lo stiamo vedendo molto bene nella Scuola dove le risposte di bambini e ragazzi sono state positive laddove Scuola e famiglie hanno stabilito delle alleanze costruttive.
Credo che la Scuola possa essere da esempio per tutti. Se al gruppo degli insegnanti viene riconosciuta l’autorevolezza necessaria ad affrontare questo difficile compito, se le famiglie si alleano con la Scuola attivando le potenti risorse della resilienza individuale e sociale, allora la Scuola potrà essere un importante luogo di cura delle sofferenze che la pandemia sta causando nella nostra società.