Recensione del libro “Il problema dell’altro”


Pubblichiamo una recensione del libro di Massimo Eusebio Il problema dell’altro. Psicologia dei media tra identità e alterità (Franco Angeli, 2022), scritta da Chiara Bisello, psicoterapeuta, membro di Alipsi e di Litorale. 

Il problema dell’altro.

Massimo Giuseppe Eusebio, attraverso le pagine del suo ultimo libro Il problema dell’altro. Psicologia dei media tra identità e alterità, spinge il lettore a interrogarsi sul legame che il soggetto intrattiene con l’altro alla luce di quei “mutamenti mediali” che rendono operativa, nella contemporaneità, una nuova riflessione intorno alle dinamiche intrapsichiche ed interpersonali. Le considerazioni dell’Autore si dispiegano all’interno di un panorama multidisciplinare nel quale si articolano fra loro riflessioni di ordine sociologico, filosofico, antropologico, psicologico e psicoanalitico. Contribuisce alla ricchezza del testo il dialogo continuo tra diverse prospettive argomentative che si confrontano all’interno dei singoli campi di conoscenza, confronto che mette in valore la differenza fino alla contrapposizione, la vicinanza interpretativa fino al minimo scostamento. In tal modo, risultano preservate la distanza e la diversità, soprattutto quando minime, fra le diverse prospettive, in un invito implicito (che sembra costituire il proposito centrale del libro) a non scivolare nella negazione della differenza dell’altro. Pertanto, nell’attraversamento dei sei capitoli che compongono il saggio, non si incontrerà il rassicurante happy ending di sintesi finale tra le posizioni teoriche, ma una capillare analisi psico-sociologica delle catene che reggono l’altalena tra il soggetto e l’altro.

Sin dalle prime battute del testo, il lettore si trova costretto ad abbandonare il rassicurante lemma altro – rassicurante se non altro per il significato immediato a cui generalmente rimanda (nella misura in cui è in grado di circoscrivere un territorio e un confine visibile) – per approdare, successivamente, all’incerta questione della sua definizione. Già dalle sue prime esplicitazioni, ne intravediamo la complessità: altro non ha un significato univoco, ma, al contrario, si sdoppia nella valenza antitetica di simile e diverso. Tale molteplicità di significati non può non produrre effetti sulla psiche del soggetto. Altro è differenza e altro può essere altresì somiglianza: richiede, pertanto, una determinazione che lo preceda perché lo si possa definire.

Dunque, il confine pacificante che si può rintracciare nel significato del termine altro si dimostra poroso: porosità da tenere in considerazione quando si adottano delle chiavi interpretative per leggere le relazioni del soggetto nella contemporaneità. Il primo problema che si pone quando si avvia un’interrogazione intorno all’altro risiede, infatti, nella sua stessa determinazione; al fine di restituire la complessità del rapporto con l’altro sembra indispensabile mantenere presente il dubbio o il sospetto che non vi sia, né dal punto di vista lessicale né dal punto di vista psichico, una facile risoluzione di tale ambiguità.

L’Autore focalizza l’osservazione sul soggetto decentrandolo da una logica di unione, evidenziando, al contrario, come qualsiasi definizione chiusa rischi di allontanare dalla comprensione del problema. L’altro, infatti, è un ‘territorio’ che evoca identità e alterità: “Lacan ci insegna dunque che l’Altro ha una natura doppia: non solo esso è il mio simile (l’altro), ma è anche l’Altro inconscio che si struttura come alterità da cui dipendo per poter esprimere il mio desiderio. L’Altro inoltre è la prima realtà psichica, il primo prossimo (nella figura della madre o di chi si prende cura del bambino), con cui il soggetto si relaziona strutturandosi.”[1] Se l’Altro è il luogo di un’“esteriorità intima” [2], l’osservazione si rovescia e tanto più lo sforzo argomentativo si spinge verso l’Altro, tanto più, con pari forza, ricade sul soggetto.

Alla luce di tale complessa continuità, si deduce che i due termini (soggetto e altro) non possono essere logicamente o difensivamente scissi, ma devono essere considerati come i due poli di una dialettica. L’Autore si addentra nella continuità che congiunge il soggetto all’altro, mantenendo, tuttavia, operativa la distanza che li separa e sottolineando l’importanza dell’estrazione del soggetto dal campo dell’altro, soprattutto in riferimento alla sua (attuale) immersione nelle acque dell’infosfera [3].

L’infosfera – ci spiega Eusebio – è un uno spazio in cui la distinzione tra l’esperienza della realtà e l’esperienza della realtà digitale della rete (pensiamo ai social media come Facebook, Instagram, Linkedin), è assottigliata a tal punto da rendere quasi obsoleta la loro distinzione. In questa situazione di assoluta indeterminatezza, l’attenzione dell’Autore cade, non a caso, sul fenomeno della “proiessenza” [4], ossia su quella attitudine del soggetto contemporaneo a esprimersi e rappresentarsi attraverso il feedback che l’altro (nella e della rete) gli offre. In altre parole, la persona è interamente occupata dal costruirsi un’immagine da presentare al pubblico, in modo da rappresentarsi in modo tale da ricevere dall’altro un like. Una possibile deriva di questa spinta alla rappresentazione di sé da mostrare al pubblico è ‘l’isola narcisistica’, nella quale il soddisfacimento libidico dell’ideale scosta il soggetto dall’incontro con la singolarità che lo abita e dalla diversità dell’Altro, il cui valore, di conseguenza, è ridotto al riflesso di uno specchio. L’altro come specchio, in effetti, assolve a una duplice funzione: soddisfa l’esigenza narcisistica del soggetto (“narcisismo digitale” [5]) e toglie all’alterità dell’altro il suo potere perturbatore. L’estraneo ha reca in sé una negatività [6] e i dispositivi – i devices che accompagnano la persona nella sua quotidianità – fungono da schermo e da filtro alla negatività dell’altro. L’estraneità, intesa come irriducibilità dell’altro alle proprie istanze, frustra la ricerca di soddisfazione libidica narcisistica: l’utilizzo dello schermo costituisce, in tal senso, una risposta, una difesa dal turbamento che può apportare l’altro.

È su questo punto che Eusebio, in effetti, insiste: il suo intento è mantenere il concetto di separazione nell’ambito della dimensione della continuità, mantenere, cioè, attiva la tensione e la differenza tra il soggetto e l’altro, pur riconoscendone l’intima connessione. E laddove egli ravvisa la spinta contemporanea a voler assottigliare – fino a minimizzare – la distanza tra il soggetto e l’altro (tendenza tipica dei nuovi media), è alla necessità di una rigorosa analisi psico-sociologica – il cui compito è intercettare questa differenza per mettere in chiaro ciò che il soggetto sembrerebbe negare – che egli richiama il lettore. La separazione, intesa come meccanismo causativo della soggettivazione, ma anche come elemento problematico nella vita del soggetto e come negatività dinamica rischia, sotto le sollecitazioni della frustrazione o dell’offerta dell’altro, di essere smentita – attraverso il noto effetto di riempimento assicurato dagli oggetti che la realtà (virtuale e non) mette a disposizione. Il mito del ritorno a una pienezza perduta appare così avverarsi. I social media, in particolare, sembrano ben rispondere alla tentazione di voler tornare a un tempo psichico in cui il soggetto non aveva ancora fatto i conti con il principio di realtà (secondo Freud) o, nella più complessa terminologia di Lacan, a una condizione esistenziale particolare, in cui il soggetto sentiva di essere il completamento immaginario dell’altro.

“Da dove sgorga la necessità di andare oltre le frontiere del narcisismo?” [7]. È a partire da questa domanda di Freud che è possibile isolare un ulteriore punto nevralgico del discorso dell’Autore. Ciò che Eusebio sembra avanzare come ipotesi è che, sotto l’influsso dell’insistente condizionamento dei media, si sia affermata nella contemporaneità una speciale soddisfazione, una soddisfazione libidica che, come ricorda Freud, è implicata e intrecciata al narcisismo. Una riflessione del genere apre il campo a una serie di riflessioni e di interrogativi: qual è il guadagno che il soggetto si assicura nell’“era del Web” [8]? Come incide la cybercultura [9] sulla soddisfazione dell’essere umano?

Eusebio riprende il concetto di interrealtà [10], concetto con il quale si intende fare riferimento allo spazio dinamico e plasmabile fatto di realtà combinate, dai confini sfumati, che include, allo stesso tempo, legami virtuali e legami reali vissuti dagli utenti del WEB nella quotidianità. In tale prospettiva, il confine tra il legame reale e il legame virtuale perde la sua efficacia rappresentativa, perché i soggetti fanno esperienza di una massiccia presenza della realtà virtuale nella quotidianità e vivono al contempo una perdita dell’alternanza degli, ormai quasi del tutto superati, stati di online e offline. L’alternanza di presenza e assenza (del soggetto e dell’altro) tipica delle dinamiche relazionali della Rete è il nuovo ‘nome’ del ritmo, della differenza, il modo in cui, cioè, l’esperienza della perdita entra nella vita degli umani.

Il neologismo che meglio descrive la situazione odierna è “onlife[11]: se, da un certo punto di vista, descrive la compresenza del reale e del virtuale, dall’altro, sembra sottintendere un raddoppiamento di presenza e una rimozione o negazione del ritmo. La crasi dei due termini (online e offline) determina la creazione di un termine nuovo, grazie al quale viene eliminato l’interstizio rappresentato dell’alternanza tra la presenza e l’assenza, tra l’essere online e l’essere offline.

Chiamando nuovamente in causa Freud per tentare di applicare alcune delle sue riflessioni ai fenomeni della contemporaneità, potremmo, a questo punto, formulare il seguente interrogativo: quale posto ha il noto meccanismo del Fort-Da nell’era del cyberspazio? Quale posto è riservato al processo di elaborazione dell’assenza dell’altro? Come avviene nell’attualità il padroneggiamento della separazione? È ancora necessario avviare il lavoro dell’inconscio affinché il soggetto ristabilisca, sotto l’azione del principio di piacere, una condizione precedente alla perdita dell’oggetto-altro, oppure nella condizione onlife il soggetto è bloccato nel primo tempo del FortDa freudiano, il tempo in cui il bambino allontana l’altro (e ripete tale allontanamento) per garantirsi “un piacere di tipo diverso?”[12]

Il titolo scelto dall’autore rinvia, evocandolo, al testo di Cvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’“altro”[13]. Una tale associazione tra i due titoli, seppure implicita, allude chiaramente alla questione sociale del riconoscimento dell’altro inteso come alterità irriducibile. In effetti, il concetto che sembra collegare i due scritti consiste nella considerazione degli effetti che si producono quando, nell’incontro problematico con l’altro, l’alterità di quest’ultimo viene negata. Se dell’altro non viene presa in carico la parola veicolata dal linguaggio e non si assume e non si accoglie la differenza che si annida nella parola stessa, l’altro rischia di cadere nella posizione di oggetto, deumanizzato, depredabile, dal quale cioè, si può ‘prendere’ senza alcuna remora, senza il limite imposto da una legge: come in fondo è accaduto con i Conquistadores a scapito degli amerindi. E anche quando l’altro viene riconosciuto come un proprio simile senza, tuttavia, ritenerlo degno di essere ascoltato, si sviluppa ugualmente un pregiudizio suscettibile di generare derive immaginarie e dinamiche violente.

Se – come in parte avviene nelle modalità relazionali contemporanee – la soggettività dell’altro è denegata, il rischio di cadere nella posizione dei conquistadores è alto. Di cosa si soddisfa, allora, il moderno conquistador dell’era digitale? Quale sarebbe l’oro scintillante di cui andrebbe alla ricerca? È ipotizzabile che sia esclusivamente la soddisfazione narcisistica, rivolta all’ideale, a motivare e giustificare la sua spinta?

Quando l’altro a cui il soggetto si rivolge finisce con lo svolgere la sola funzione di specchio (rimandando l’immagine ideale, costruita ad hoc dal soggetto stesso), sembra realizzarsi una soluzione immaginaria che tenta di risolvere la mancanza strutturale del soggetto facendo coincidere l’Io e, per l’appunto, il suo ideale. L’appagamento pulsionale che ne deriva, allora, sarà necessariamente parziale, autoerotico, nostalgico di un tempo perduto in cui l’altro non aveva ancora ‘agito’ sul soggetto e, di conseguenza, non si era installato come ‘problema’. Ed è interessante osservare come una tale condizione di pienezza perduta non la si tenti di recuperare attraverso le tradizionali formazioni dell’inconscio ma in maniera per così dire obliqua, mediante, cioè, azioni, seppur virtuali, nella realtà o, per meglio dire, nell’interrealtà.

Altre versioni dell’altro si succedono nel libro in una sorta di catalogo delle possibili relazioni che, con esso, il soggetto stabilisce: l’altro che garantisce l’esistenza[14] del soggetto, un’esistenza ben definita e orientata dall’ideale che il soggetto stesso ha costituito; l’altro al quale il soggetto rivolge la domanda “cosa vuole da me?”, l’altro che probabilmente è in ‘caduta libera’ nell’epoca della virtualità mediatica e dal quale il soggetto sembra prendere, sempre più, le distanze; l’altro ridotto alla funzione di oggetto specchio, immaginariamente destituito dalla posizione originaria di potere (e di strutturazione) che ha avuto per il soggetto; e ancora, l’altro che si presenta per il soggetto nella questione, incorniciata dal fantasma inconscio, dell’essere un oggetto in sua balìa, in una condizione di angoscia rispetto alla quale sembrerebbe che nella rete (e nelle tipiche dinamiche che in essa si dispiegano) si possa rintracciare una possibilità di ribellione; e infine, l’altro come affermazione di una mancanza radicale, di una mancanza che fa eco con la mancanza che abita il soggetto, con il limite e il non-senso della propria esistenza. Un altro, in conclusione, che è lì da sempre, prima dell’apparizione del soggetto, in quanto condizione necessaria alla sua costituzione: un altro, dunque, che è più un problema che una risposta, un problema, tuttavia, di cui il soggetto stesso è una risposta.


Note

  1. M. G. Eusebio., Il problema dell’altro, Psicologia dei media tra identità e alterità, FrancoAngeli, Milano 2022, cit. p.124.  []
  2. J. Lacan, (1959-60), trad. it. Il seminario Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2008.  []
  3. L. Floridi, Infosfera, in di Bari V., a cura di, Internet & Net Economy, il Sole 24-Ore Libri, Milano 2002.  []
  4. G. Boccia Artieri, Proiessenza: la narrazione di sé nei social network, mediamondo.blog 2012.  []
  5. Cfr. Eusebio M. G. Eusebio., Il problema dell’altro, Psicologia dei media tra identità e alterità, Franco Angeli, Milano 2022, p.76.  []
  6. B. C. Han, L’espulsione dell’Altro. Società, percezione e comunicazione oggi, Nottetempo, Milano 2017.  []
  7. S. Freud, Introduzione al narcisismo (1914), in Opere, 11 voll., a cura di C. L. Musatti, Boringhieri, Torino 1975, vol. VII, cit. p. 455.  []
  8. Cfr. M. G. Eusebio., Il problema dell’altro, Psicologia dei media tra identità e alterità, Franco Angeli, Milano 2022.  []
  9. P. Lèvy, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano 1997.  []
  10. G. Riva, Psicologia dei nuovi media. Azione, presenza, identità e relazioni, il Mulino, Bologna 2012.  []
  11. L. Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020.  []
  12. S. Freud, Al di là del principio di piacere (1920), in Opere, 11 voll., a cura di C. L. Musatti, Boringhieri, Torino 1967 – 1979, vol. IX.  []
  13. T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Einaudi, Torino 2014.  []
  14. S. Žižek, Dello sguardo e altri oggetti. Saggi su cinema e psicoanalisi, Campanotto Editore, Pasian di Prato 2005.  []