Borghesi del tardo capitalismo


Ringraziamo la rivista Fata Morgana per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione di questa recensione di Luca Mozzachiodi all’ultimo libro di Antonio Tricomi: Macerie Borghesi.

Il libro Macerie Borghesi (2023) inaugura la collana engageante dell’editore Rogas. Il volume (che raccoglie scritti composti tra il 2017 e il 2021) prosegue e anzi insiste nello stile e nell’impegno saggistico che di Tricomi erano già propri in numerosissimi volumi: da Il brogliaccio dell’umanista (2007), a La repubblica delle lettere (2010), fino al recente Epidemic. Retroversioni dal nostro medioevo (2021), che per tanti versi di questo volume rappresenta il complemento. Attraverso l’utilizzo di una ricca e variegata schiera di riferimenti, tra i quali vanno sicuramente indicati autori su cui Tricomi lavora da decenni quali Pasolini, Siti, Morante e, su un piano teorico e filosofico, la Scuola di Francoforte, Lacan e soprattutto il Günther Anders di L’uomo è antiquato, l’autore analizza un presente che sempre più assume connotazioni «neofeudali» o «neomedioevali» che possiamo riassumere in una divisione tripartita della società: in basso emarginati senza speranza, alla cima della piramide un numero ristretto di «signori», che concentra nelle proprie mani crescente potere e ricchezza, e nel mezzo una arrancante classe media sempre più impoverita e precaria sia materialmente che psicologicamente.

I rapporti tra queste tre fasce si ispirano a una complessa miscela di ideologia e psicologia che si traduce in una pedagogia sociale dai tratti antitetici a quelli di una vera risorsa emancipatrice; in questo senso sono mirabili le pagine dedicate alla critica dell’«intellettuale legislatore» Midcult e neoliberale Recalcati e le notazioni sull’impoverimento della qualità della relazione didattica nell’università e nella scuola (non solo attraverso l’esperienza del Covid, ma in un processo decennale che Tricomi, docente in entrambe da decenni, conosce in prima persona).

Gli ingredienti di questa pedagogia sono un diffuso edonismo, o meglio la concezione secondo la quale autenticità e ricchezza individuale coincidono con la rimozione della negazione del limite e dell’autorità normante (evanescenza del padre o maternage), e l’equivalenza tra benessere, successo e consumo, e quindi sentimenti quali paura, invidia e senso di colpa che accomunano la fascia dell’ex classe media e gli emarginati, sentimenti che spesso, per la mancanza di una compiuta soggettivazione personale e sociale, rimangono inaccessibili ad una rielaborazione e ad un controllo conscio e dai quali dunque, più che strumenti o ipotesi di conflitto sociale, sorgono esplosioni di odio razzistico e nazionalistico e fantasie regressive di culto del capo-padre-guida politica, della nazione, della religione tradizionalmente e irrazionalisticamente intesa.

Tricomi si serve dei testi e delle opere per indagare questo plesso di contraddizioni, come nel saggio dedicato al confronto con l’opera di Alessandro Leogrande, o nel confronto serrato tra la produzione saggistica e narrativa di Pasolini e quella della Morante. Infatti allo snodarsi dei saggi possiamo, tenendo presenti le date, seguire anche il puntuale commento dell’autore sulle vicende politiche dell’ultimo decennio e in particolare sulla sua analisi dei populismi italiani a cavallo tra i due decenni.

La chiave di volta, e insieme la ragione della profonda unità del libro, risiede nel fatto che a essere antiquato non è l’uomo per Tricomi, ma il borghese. In altre parole perché l’ordine capitalistico occupasse «l’intero orizzonte del pensabile», era necessario che la borghesia si universalizzasse, rendesse la propria morale sociale e la propria visione della storia e del progresso le sole possibili, coincidente con la stessa idea di esistenza umana. L’autore concepisce infatti la borghesia, sulla scia di Marx, come la classe dinamica per eccellenza e fonda gran parte della sua linea interpretativa sulla visione pasoliniana del ’68 come rivoluzione interna alla borghesia e della mutazione antropologica come cancellazione di ordini precedenti (la civiltà contadina ma anche il socialismo rivoluzionario). Tuttavia in questo processo una grande parte dell’ontologia sociale della borghesia novecentesca deve essere perduto; nel catalogo della distruzione possiamo enumerare: la cultura umanistica e la connessione tra essa e la politica (che Tricomi in un saggio conclusivo dedicato al Siti di Contro l’impegno ci presenta destinata oggi ad essere parodiata dall’industria culturale per lusingare consumatori “etici” e semicolti), il senso delle istituzioni, trasformato da coscienza della mediazione politica in omaggio alla struttura gerarchica, la dimensione collettiva non meno di quella intima e privata, degradate spesso a un livello istintivo, pulsionale e quasi barbarico; è su questa nota e sull’omicidio Varani che il libro si chiude.

Il borghese universale del tardo capitalismo è infatti esso stesso una maceria borghese, che di quella classe ha ereditato i peggiori fardelli storici e sociali e disinnescato il senso della contraddizione. Ciò che resta è dunque una fascia di sempre meno garantiti tesi tra la paura di scivolare tra i paria e il desiderio di divenire signori.

Sovvertire l’ordine dei signori non è realmente possibile, li si può massacrare in una fantasia compensativa infantile (come quella che Tricomi vede in Joker di Todd Philips, contrapposta al giustizialismo che giustifica i dominatori del Batman di Nolan), ma non si può realmente ipotizzare un diverso ordine; la cosa naturalmente è assai grave, perché prima che le nostre proiezioni sullo schermo riguarda per l’autore i tentativi ultraminoritari di organizzazioni politiche sedicenti anticapitaliste e soprattutto gli spontanei episodi di violenza sovversiva dei più deboli in questa società neofeudale (pensiero su cui faremmo bene a meditare anche guardando ai recenti saccheggi nei quartieri bene francesi).

Se in passato la presenza di un forte progetto emancipativo e sociale di ordine diverso, socialista e democratico, aveva almeno reso plausibile la fuoriuscita di larghe masse dalla miseria e dall’emarginazione politica, questo stesso diverso orizzonte possibile aveva in parte indotto in parte forzato un settore della borghesia ad agire come garante del funzionamento di una democrazia che aspirasse a divenire non solo formale. Con la sconfitta o il tradimento di questo orizzonte non solo, naturalmente, per le masse di emarginati non c’è più speranza (se non forse quella pericolosissima e illusoria della religione, che Tricomi chiama «la speranza dei disperati»), ma la stessa fascia di mezzo è impotente o disinteressata a rendere effettive le garanzie democratiche e preoccupata piuttosto delle speranze di protezione e godimento che una politica ridivenuta cesarista le offre.

Qual è il ruolo della letteratura in questo scenario? Da un punto di vista critico essa sembra sospesa tra l’accettazione completa del proprio statuto di merce (quand’anche di merce per consumatori impegnati) e l’esplosione in forme ibride e saggistiche, talora riuscite, come Tricomi indica nei casi di Pasolini, Siti, Pecoraro, talaltra rifugio nel gioco intellettuale, nel generico progressismo o persino in un antimodernismo reazionario; l’autore indica rispettivamente Lagioia, Saviano e Houellebecq come esempi.

Caratteristica del metodo critico del libro è che, con grande frequenza, i testi e la loro dimensione contenutistica e stilistica sono sia oggetto di studio che strumento di studio. Solo attraverso questa dialettica è possibile per Tricomi restituire in senso al gesto critico e saggistico. In questo modo difende la possibilità engageante della scrittura che si pone, nella sua dimensione genealogica della modernità, agli antipodi dell’engagement come ipertrofia dell’io intellettuale e ritrattismo letterario. Non che Tricomi non abbia sue preferenze: anzi esse emergono nel folto numero di autori e opere ibride che emerge in tutta la raccolta di scritti: Petrolio, Il mondo salvato dai ragazzi, L’uomo è antiquato, Massa e potere, i romanzi di Pecoraro, Siti, gli scritti di Lacan, le opere di Bernhard e che mi sembra sappia accomunare non attraverso una generica espressione del suo gusto o intuito, ma per la volontà di rintracciarvi al fondo la comune domanda: è possibile una società non borghese? O detto diversamente: quale scotto paga l’umanità nelle attuali forme di vita sociale di una società post-borghese?

Leggi l’articolo originale sul sito della rivista Fata Morgana